storia degli affreschi






Pochissime città possono vantare come Arco un legame così nobile e antico col gioco degli scacchi. Nel 1987 i lavori degli archeologi della Provincia Autonoma di Trento, per il recupero dell’antico maniero diroccato dei Conti d’Arco, culminano con la scoperta degli straordinari affreschi contenuti nella cosiddetta “sala dei giochi”. Uno spazio di 5,60 metri per 6 e mezzo, alto 3 metri e venti, decorato da un ciclo di pitture a muro, che sono di grande valore storico in particolare per i soggetti profani delle raffigurazioni. Ebbene, ben due pannelli riguardano il gioco degli scacchi su 64 caselle, in cui appaiono intenti e concentrati dame e cortigiani in lunghe vesti, che in altre raffigurazioni sono poi dediti al gioco dei dadi e alla tria. Si ritiene che l’opera risalga alla fine del Trecento, come il famoso ciclo cavalleresco di Torre dell’Aquila a Trento. Un reperto davvero eccezionale, se pensiamo che gli scacchi – arrivati in Europa dall’Oriente attorno al Mille, proprio nel XV secolo diventa il “gioco dei re”, conosciuto in tutte le corti e praticato da sovrani quali Enrico I, Enrico II, Giovanni I e Riccardo I d’Inghilterra, Filippo II e Alfonso II di Spagna, Ivan il Terribile, zar di Russia. Nel primo pannello arcense, si distinguono pedoni e un alfiere, di foggia riconosciuta come quella usata nei tempi antichi e di cui esiste anche un pedone rinvenuto in Trentino. Pochi i pezzi in campo, ma va annotato che all’epoca non si usava molto giocare le partite dalla prima mossa, essendo preferite le sfide a partire da una data posizione, un po’ come negli attuali “problemi”. Spesso si scommetteva del denaro sulla vittoria, e per questo ci furono editti che vietavano il gioco degli scacchi, altrimenti riconosciuto come ottimo e sano esercizio intellettuale. La figura che sembra Dante Alighieri potrebbe essere quella di un maestro girovago di scacchi, professionista diffuso nel tardo Medioevo (la Lombardia del resto vantava in quei secoli molti tra i migliori giocatori europei). E passiamo al secondo affresco: stanno giocando una dama e un frate. E frate fu in quell’epoca Jacopo da Cessole, autore di un saggio che contribuì moltissimo al successo degli scacchi in Italia. Compaiono una torre in a1 e un alfiere in h1, entrambi rosso-ocra, e due pedoni neri in a2 e b1: disposizione assai strana, forse immaginifica.
Concludendo: è ben vero che ci sono indizi della conoscenza degli scacchi in Italia già in tarda età romana. E che a Venezia l’affresco tuttora visibile nella basilica dei Santi Maria e Donato di Murano mostra una scacchiera e sembra testimoniare la conoscenza del gioco fin dall’ottavo secolo. Un’iconografia come quella che possiede Arco è in ogni caso un tesoro, tutto sommato ancora poco pubblicizzato e conosciuto. Direi che s’impone almeno una gita organizzata al castello e alla sala dei giochi per i partecipanti al festival internazionale d’autunno, provenienti com’è noto da mezzo mondo.
Un’ultima cosa. Al prossimo torneo alto gardesano che inizia a fine mese, il circolo metterà in palio per il vincitore una copia del volume edito nel 2006 dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Provincia, dal titolo “Il castello di Arco”, che racconta con dovizia di particolari anche le caratteristiche degli affresci “scacchistici”.
Altra bibliografia:
R.Turrini – Guida per Arco – Comune di Arco, 1996
R.Turrini – Guida per la visita al Castello di Arco – Comune di Arco, 1996


Vedi anche:
http://arcoscacchi.blogspot.it/2013/04/quando-i-castellani-giocavano-scacchi.html